Sentirsi potati da Dio

«Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,5). Gesù ci parla del rapporto tra noi e lui. Lo fa usando l’immagine della vite e dei suoi rami. Noi siamo parte di lui, un unico corpo con lui, un unico essere, sempre, dovunque andiamo. Non so se su questa terra possa esistere un legame più forte.

A questa verità – che già ci basterebbe per tutta la vita – aggiunge alcune parole, appena un versetto, con le quali ci rivela qualcosa di inedito: «Ogni tralcio che porta frutto, il Padre mio lo pota perché porti più frutto» (cfr. Gv 15, 2). Parole assolutamente da ricordare nei giorni tristi e bui in cui la fatica e il dolore sembrano sovrastarci. Ci spiegano in che modo il Padre si prende cura di noi: potandoci.

Noi lo sappiamo bene: ogni potatura è un taglio sul vivo della pianta, che perde una parte di se stessa, rimpicciolisce, sembra ferita a morte. Invece quel taglio produrrà in lei più frutti, più vita, più bellezza.

Quella pianta siamo noi. Le potature sono i dolori e le difficoltà della vita: incomprensioni da parte di chi ci dovrebbe capire, ingiustizie che stiamo subendo, malattie, aridità dell’anima, perdita di persone care, stanchezza… Tutte cose tristi che chiamiamo sventura, sfortuna, seccature, disturbi. Gesù ci informa invece che sono occasioni per crescere e per diventare più vivi. Perché, infatti, Dio ci pota? Per purificarci da tutto ciò che in noi non è amore, non è fonte di vita. Come uno scultore che dal marmo, colpo su colpo, libera un’immagine bellissima, un’opera d’arte, così è Dio su di noi: ci pota per liberare quell’immagine divina che si nasconde in noi e che è la nostra vera identità.

Come stiamo reagendo a queste potature? Forse stanno causando in noi soltanto amarezza, tristezza, nervosismo, lamentele… Può essere però che ci accorgiamo che queste prove ci stanno aiutando a diventare più pazienti, più comprensivi, riusciamo a immedesimarci di più negli altri e nel loro dolore, più maturi, più umani.

C’è un segreto che bisogna sapere affinché le potature portino dei frutti in noi: quando arrivano bisogna “rimanere in lui”, in Gesù. Non mollare, ma in quei momenti prenderci cura del nostro rapporto con lui, alimentarlo, alzare lo sguardo verso il crocifisso. Perché è proprio da lui che abbiamo imparato che dal dolore può nascere una impensabile vita.

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