Dio crede in me

Nel numero precedente siamo partiti alla ricerca di “bombe inesplose”, di quelle parole di Gesù, cioè, presenti nel terreno del vangelo, ma non ancora pienamente valorizzate in tutta la loro vitalità. Realtà importanti ma bypassate, che non sono ancora entrate a far parte del sentire comune cristiano. Perché questa ricerca? Non per il gusto dell’archeologia, ma perché solo il vangelo nella sua integrità potrà portare nuove energie ai cristiani di oggi.

Iniziamo toccando una corda intima: il nostro rapporto con Dio. È in sintonia con quello che il vangelo ci ha rivelato? Dobbiamo ringraziare il cielo, sbiadita l’immagine antica di un Dio intransigente e vendicativo, oggi abbiamo finalmente recepito quello che la prima lettera di Giovanni ci ha rivelato una volta per tutte: Dio è amore. Sappiamo di essere amati da lui. Ma come crediamo che sia questo amore? Come immaginiamo il suo sguardo quando si posa su di noi? Quasi sempre, quando parlo con persone cristiane, percepisco una sorta di frustrazione spirituale, un’indelebile disistima verso se stessi, come di chi non riesce mai ad essere all’altezza delle aspettative. «Lo so, Dio mi ama – sembrano pensare, – ma così come si ama un povero disgraziato, uno che ti fa pena». Chissà, forse questo fenomeno è dovuto anche a una predicazione che per tanto tempo ha fatto leva sul senso di colpa. Se, però, guardiamo al comportamento di Gesù verso i discepoli scopriamo che le cose non stanno così. Il rapporto che lui imposta non è quello tra un entità perfetta e degli esseri meschini. Già nell’Antico Testamento troviamo delle anticipazioni in questa direzione, come le toccanti parole che Dio rivolge a Israele: “Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo”(Isaia 43,4). Sapevamo di essere stimati da Dio? Dio ci conosce e sa che non la frustrazione ma solo la fiducia può liberare le nostre energie migliori. Gesù va avanti in questa direzione: tratta tutti come persone di valore, capaci di grandi scelte, di gratuità, di amare fino a dare anche la vita, arriva a dire “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro”. Crede in Pietro, Matteo, Tommaso… e affida loro l’eroica missione di portare il vangelo a tutti gli esseri della terra. La stima di Gesù verso di noi tocca poi un vertice quando arriva a chiamarci “fratelli”, facendoci scoprire una grandezza che non immaginavamo. Se è bello sentirsi figli di Dio, scoprire di essere suoi fratelli è qualcosa di veramente inimmaginabile. È Gesù risorto che definisce i suoi discepoli così: “i miei fratelli” (Giovanni 20,17), rendendoci simili a sé in dignità.

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