Essere in pochi

Per i cristiani italiani, e non solo, sta diventando un’esperienza comune quella di non essere più numerosi come un tempo. Quante persone c’erano a messa? Poche. E all’incontro di preghiera? Pochissime. E alla riunione settimanale? I soliti… Nelle parrocchie o nelle associazioni ecclesiali è ormai frequente udire dialoghi del genere. E’ facile allora, delusi e malinconici, mettersi a ricordare i tempi d’oro in cui la sala era troppo piccola per contenere tutti. Ora invece sembra quasi di rivivere “Sette piccoli indiani”: chi sopravviverà sino alla fine? E viene da domandarsi: forse il Cristianesimo ha esaurito la sua carica vitale, ha ormai fatto il suo tempo?

Se apro il vangelo alla ricerca di una risposta trovo che non è così. I tempi sono mutati, essere cristiani nella nostra società non è più normale e scontato. Stiamo entrando in una nuova epoca nella quale saremo sempre più una minoranza. Ma proprio qui sta il punto: questo è perfettamente in linea col vangelo. Gesù infatti non parla mai dei suoi discepoli come di una potenza numerica. Al contrario li chiamava “Piccolo gregge”, li paragonava ad un grano di senape, diceva che lui sarebbe stato presente dove “due o tre”, non duemila, sarebbero stati uniti nel suo nome. Accadeva poi un fatto strano: quando lo seguiva tanta gente invece che compiacersi diventava più esigente, a costo di scoraggiare tutti: “Siccome molta gente andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo»(Vangelo di Luca). Anche ai suoi dodici apostoli un giorno ebbe il coraggio di domandare: «Volete andarvene anche voi?». Insomma, non era interessato alla quantità, non giudicava il successo della sua missione in base al numero dei partecipanti. Era disposto ad avere pochissimi seguaci, li voleva però autentici, pronti a dare anche la vita per Lui. Solo in questo modo i suoi discepoli sarebbero diventati capaci di testimoniare il vangelo agli altri. I pagani infatti vedendo i primi cristiani dicevano stupiti: «Guardate come si amano e sono pronti a morire l’uno per l’altro», come ci riferisce il romano Tertulliano.

Penso quindi che possiamo trasformare la nuova situazione da deprimente a motivante, come una occasione provvidenziale per ritrovare lo spirito cristiano autentico. Non più cristiani per abitudine, tradizione, paura di Dio, ma per scelta convinta, anche controcorrente.

Non che essere tanti sia un male, ma anche l’essere in pochi aiuta a riscoprire dei tesori: il valore insostituibile di ognuno, la conoscenza reciproca, l’unità. 

“In cammino verso la comunità” (Giornalino della parrocchia di San Francesco al Campo)

Dicembre 2010

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