La luce dell’ombra. Quando non raccogliamo frutti

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«Non giudicare ciascun giorno in base al raccolto che hai ottenuto, ma dai semi che hai piantato» 

Robert Louis Stevenson

Stevenson capovolge i nostri parametri di giudizio. Per una qualche ragione evolutiva noi umani valutiamo le cose in base ai frutti che producono. Alla fine di un giorno qualunque come di un’intera vita. Ma un’ingiustizia percorre l’esistenza: la fatica è sempre superiore ai risultati raggiunti. Questa amara legge sembra conoscere ben poche eccezioni, è quasi inevitabile uscirne sconfitti. E qui interviene Stevenson, in ottima compagnia vedremo: il parametro esatto è un altro: non i frutti, ma i semi bisogna guardare. O meglio: il vero frutto sono i semi gettati. È un’illusoria consolazione? Il vangelo stesso non insiste sul prodotto ottenuto nella parabola dei talenti? No, se la leggiamo insieme a un’altra parabola:

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.». (Mc 4,26-27)

C’è un seme nascosto nella terra che sembra perduto. Gesù ci invita a saper vivere questo tempo in cui non si può fare nulla, né verificare la crescita sotterranea, né accelerarla. È un tempo duro da vivere, ogni fatica sembra essere stata inutile. Non ci sta dicendo che dobbiamo accontentarci di seminare, ma di sperare fino all’ultimo senza scoraggiarci. C’è una vita che per sbocciare ha bisogno di silenzio e di fiducia, finché un giorno…